Un impiegato ascolta, 5 anni dopo, una delle canzoni del maggio francese 1968. È una canzone di lotta: ricorda gli avvenimenti accaduti durante la rivolta nata dagli studenti e, rivolgendosi a quelli che alla lotta non hanno partecipato, li accusa e ricorda loro che chiunque, anche chi, in quelle giornate, si è chiuso in casa per paura, è ugualmente coinvolto negli avvenimenti. La canzone contiene l'affermazione che la rivolta non è finita ma ci sarà nuovamente, in futuro, più forte.
L'impiegato paragona la sua vita fatta di buonsenso, individualismo e paure, a quella dei ragazzi che hanno avuto il coraggio di ribellarsi al sistema che li opprimeva.
Si rende conto, o così presume di sé. di non poter unirsi a loro, di non poterli seguire né affiancarsi in nessun modo. La realtà nella quale vive lo ha condizionato, lo ha segnato irrimediabilmente.
C'è solo posto per la vendetta e la presunzione di potercela fare da solo di risolvere con un gesto solitario tutti i problemi che lo incatenano al posto di lavoro. Decide così di gettare una bomba ad un ballo mascherato al quale partecipano tutti i miti, i valori della cultura e del potere borghese. E comincia a sognare.
-Sogna di autoinvitarsi al ballo mascherato e di portare con sé la bomba, gettarla ed assistere agli effetti dello scoppio su coloro che per anni ha rispettato, gli hanno fatto paura, gli hanno imposto un comportamento. La sua liberazione è totale, alla fine; dopo aver assistito all'agonia di tutti, e dei padre e della madre, si libera anche dell'amico che gli ha insegnato il modo di ribellarsi rendendo così all'individualismo di cui è vittima, il tributo definitivo.
Il sogno prosegue: la voce di un giudice lo informa che il potere borghese era al corrente dei suoi atti, addirittura lo stava seguendo dalla nascita così come segue tutti i suoi sudditi.
L'accusa di omicidio, di strage, si trasforma in ringraziamento per aver eliminato vecchi residui che davano fastidio al potere stesso, che ormai ha trovato altri modi per governare. li giudice lo informa che ha usato correttamente gli strumenti della legge e che il suo gesto non è altro che la ricerca di potere personale. Così lo accoglie tra coloro che contano, tra coloro che decidono, tra coloro che governano e dispongono della altrui e della propria libertà.
Un nuovo sogno, o una nuova puntata dei sogni precedenti, e l'impiegato prende il posto del padre da lui stesso sacrificato alla ricerca di spazio personale. Rivive una vita lancinante, fatta di illusioni e relative delusioni, di difese disperate della propria integrità, del proprio denaro, delle proprietà. Non è più un sogno, ma un incubo'e l'impiegato si sveglia.
Ha capito che in qualunque modo è un uomo finito, senza nessuna possibilità di ricupero, che i suoi gesti saranno sempre individualisti, tesi al proprio bisogno personale e che salendo la scala del potere non si sfugge comunque alla propria condizione di isolamento, d'angoscia. La bomba che nel sogno era stata gettata con forza, con rabbia, per vendetta, ora, nella realtà, diventa un momento di ebbrezza e, ovviamente, di lucidità.
L'impiegato sa cosa fare, sa dove andare, sa chi deve colpire e perché. Va dritto al parlamento a gettare una bomba vera per ammazzare gente vera, ma la sua abilità era soltanto un sogno: la bomba rotola giù verso un'edicola di giornali e l'unica cosa che lo colpisce è, come una previsione, la faccia della sua fidanzata che sta su tutte le prime pagine dei giornali.
E alla fidanzata dei mostro, l'impiegato scrive una lettera di addio dal carcere nel quale è rinchiuso. Nel carcere, in una realtà non più individualista, ma forse il massimo dell'essere uguali, l'impiegato non più impiegato scopre un nuovo modo di capire la vita e le cose che lo circondano. Scopre la realtà della parola "Collettivo" e della parola "potere".
Per la prima volta in bocca al personaggio e per la seconda nel disco, l'io passa al noi mentre si prepara una nuova rivolta o sta continuando la stessa della canzone del maggio.
La nota più interessante che se ne ricava è la contrapposizione fra due diverse realtà: quella nella quale si muove l'impiegato preso a simbolo della classe borghese media che, in cambio del rispetto delle regole imposte da chi ha in mano le leve del comando, gode dei suoi stessi privilegi e la realtà del carcere, diventata qui, saltandone a pie' pari le implicazioni di degradazione di cui tutti siamo a conoscenza, il simbolo della oppressione e anche della uguaglianza".
La scelta del carcere (da parte di De André e Bentivoglio) è ovviamente formale, ai fini del racconto, e viene usata come pretesto per indicare una situazione di collettività.
Queste due situazioni hanno un punto in comune: sono due condizioni esistenziali di costrizione ma la prima necessita, per la liberazione, della legge della jungla, l'individualismo, la lotta personale, la necessità di imparare delle regole non scritte, dei codici di comportamento che sono appannaggio di coloro che si dividono la torta del potere.
Ed il risultato, questa liberazione, può essere soltanto una posizione personale più prestigiosa, un salto di piano, una crescita obbligata all'interno di quelle regole: perciò da oppresso a oppressore.
Poiché è contenuta nella stessa logica del potere la possibilità che qualcuno ne possa avere altrettanto o di più, non c'è vero conflitto, sempre che le regole siano rispettate.
Per grandi gruppi economici non importa il nome di chi governa se il nome è il prestanome di un sistema di governare.
Così non importa se l'impiegato prende il posto di uno che ha in mano qualche piccola leva di comando, basta che rispetti le regole del gioco. (Nel disco è il posto del padre, usato da De Andrè e Bentivoglio come esempio della conservazione di classe.)
Anzi, ben venga un rinnovamento, sangue giovane e vitale, per consolidare quella realtà che servirà ad istruire, condizionare, preparare altra gente e altro sangue a sostituirsi ai vecchi migliorando ma non cambiando il decalogo della classe dominante.
In carcere la realtà concede invece due alternative. Ovvero, in condizioni di sfruttamento sopra una intera collettività ci sono due modi di liberarsi: uno individuale, ma bisogna abbandonare la classe alla quale si appartiene per entrare nell'altra, quella già descritta, l'altra possibilità è quella di farIo collettivamente.
Ed è proprio in una realtà collettiva che si impara un altro modo di agire, di pensare, di gestire la propria persona tenendo conto della presenza degli altri, facendosi un tutto con gli altri fino a cambiare l'io col noi, ripetendo la stessa posizione di lotta ma questa volta con la coscienza di appartenere alla stessa classe di sfruttati.